Quando l’IA non risponde:
salute digitale, limite normativo e consumo consapevole
L’intelligenza artificiale è diventata parte del nostro flusso quotidiano, lo sapete perché anche voi la usate, lo sapete perché se ci seguite sapete come la pensiamo: usiamo chatbot, assistenti virtuali, modelli generativi e di sicuro non ci tiriamo indietro quando si tratta di salute: sottoponiamo all’AI esami, analisi, per cercare di capire un quadro clinico ma cosa succede se vediamo i consigli dell’intelligenza artificiale come veri e propri consulti medici e ci sentiamo autorizzati a prendere decisioni che invece solo un professionista dovrebbe prendere? Può una risposta dell’AI essere intesa come un parere medico? Sembra che proprio questo abuso abbia condotto ad un “silenzio imposto” che ha più peso di quanto sembri. Perché l’IA non può dare consigli medici? E cosa vuol dire questo per chi usa la tecnologia ogni giorno?
Il divieto che parla più di mille regole
Da un lato, c’è la sicurezza: un algoritmo non è un medico, non conosce il tuo vissuto, non valuta rischi personali, lo abbiamo visto nell’articolo precedente, non possiamo permettere all’AI di sostitursi alle relazioni umane così come non possiamo permetterle di sostituirsi al nostro medico (ma ricordiamoci, siamo noi ad elevare l’AI a quel ruolo, non lo fa autonomamente). Ma come la mettiamo se dovesse sbagliare? Le conseguenze non sono solo teoriche.
C’è anche la questione della responsabilità legale: chi risponde se un suggerimento digitalizzato genera un danno? Finché non c’è un quadro normativo chiaro, secondo OpenAI, meglio evitare del tutto.
Ma questo stop non è una decisione campata in aria: comunica un messaggio implicito, che la conoscenza medica è un territorio protetto, riservato all’umano professionista. È un limite tecnologico, ma è anche un freno culturale.
Il paradosso dell’alfabetizzazione digitale
Eppure, viviamo in un’epoca dove chiunque “Googla” i propri sintomi prima ancora di chiedere a un medico è quasi naturale, istintivo.
Ma se l’IA non può spiegare un referto o tradurre un termine tecnico, perdiamo un’occasione educativa. Non si tratta di sostituire il medico: si tratta di costruire un canale informativo che elevi l’utente, anche non esperto, ad uno stato più consapevole, ampliando così le possibilità di comprendere e alfabetizzare gli utenti, prima sul piano digitale, e poi permettendogli di assimilare concetti più complessi in maniera più semplice, per poter porre al proprio medico domande più precise.
In quest’ottica, bloccare tutto diventa controproducente: spinge alla diffidenza, al ricorso a fonti meno verificate, a comunità online dove la credibilità è variabile, sappiamo bene come le fake news e la disinformazione possano diffondersi, più velocemente di un virus, e lo vediamo continuamente, specialmente sui social media.
Verso un modello tech-uman centric
Come potrebbe cambiare lo scenario? Per esempio il modello IA potrebbe fornire già nella risposta delle fonti trasparenti verificabili, invitare sempre a consultare un professionista umano e mettere l’utente al centro: chiedendo informazioni all’utente, infatti, l’AI potrebbe modulare l’informazione in funzione dell’utente. In questo modo l’intelligenza artificiale non può essere travisata, diventando un sostituto ma assumerebbe il ruolo di facilitatore, consentendo all’utente di muoversi nelle informazioni di internet con un occhio più consapevole, critico e con più sicurezza e fiducia.
L’opinione di Digiup
Alla fine, questo silenzio imposto all’IA secondo noi non è solo un blocco tecnico, ma più un invito a rivedere il rapporto tra uomo, tecnologia e salute.
L’innovazione non si misura in quanto può fare, ma in quanto aiuta chi la usa a capire meglio, non solo a fare di più. E per questo motivo la parola del giorno è… indovinate un po’… CONSAPEVOLEZZA.
Contattaci, saremo molto felici di conoscerti.
