Quando Skype era il futuro

C’è stato un tempo — e non parliamo dell’età della pietra, ma di pochi anni fa — in cui un “ti chiamo su Skype” bastava a colmare distanze di oceani. Non servivano 5G, filtri bellezza o sfondi finti: solo una webcam, un microfono, e una buona dose di speranza che la connessione reggesse.

Skype, nato nel 2003, non era solo un’app: era una promessa di vicinanza, un ponte tra due schermi che si accendevano come finestre in una notte digitale.
Prima di Zoom, prima di Meet, prima che Teams iniziasse a conquistare ogni ufficio e corridoio scolastico… c’era lui.

Skype, icona
Poi sono arrivati i colossi: Google, Microsoft (che ha persino comprato Skype, salvo poi sostituirlo con “sé stesso”), Zoom, Slack, Discord, e chi più ne ha più ne scarichi.
La messaggistica è diventata istantanea, ovunque, costante. E a volte, diciamolo, un po’ troppo. Oggi riceviamo notifiche da cinque app diverse per una sola riunione. La voce è limpida, il video impeccabile, ma qualcosa — forse l’emozione del “mi senti?” — si è un po’ perso per strada.

Il giorno prima che venisse spento Skype ha smesso di funzionare per qualche ora.
Un malfunzionamento temporaneo, probabilmente. O forse un messaggio silenzioso: “Ehi, vi ricordate di me?”

Ma la tecnologia evolve, e con essa anche le esigenze delle aziende: non bastava più sentirsi ma bisognava lavorare insieme, in modo strutturato. Condividere documenti, gestire progetti, collaborare su più livelli. Ed è qui che Microsoft ha compiuto la sua mossa più importante: trasformare Skype in qualcosa di più grande, più completo, più integrato. Nasce così Microsoft Teams, inizialmente quasi in sordina, poi sempre più al centro dell’esperienza di lavoro digitale.

Il passaggio non è stato immediato. Molti utenti, abituati alla leggerezza e alla familiarità di Skype, hanno vissuto con una certa resistenza l’ingresso in un ambiente più complesso. Ma Teams, nel tempo, si è rivelato non solo un’alternativa, ma un vero e proprio salto di paradigma: uno spazio digitale dove non si fanno solo call, ma si lavora, dove la chat è solo uno dei tanti strumenti a disposizione e dove tutto — dai documenti di Word alla pianificazione delle attività — vive in un unico spazio condiviso, che permette ai teams di lavorare in maniera sinergica.

Nel 2021, con la fine ufficiale del supporto a Skype for Business, il passaggio è diventato definitivo. Microsoft ha scommesso tutto su Teams, e l’ha fatto spingendo su integrazione, sicurezza e collaborazione in tempo reale. Oggi Teams è il cuore pulsante di moltissime organizzazioni, anche grazie all’impulso dato dallo smart working e dalla trasformazione digitale degli ultimi anni.

Ma quali sono le alternative a Skype, oltre a Teams?

Google Meet

Semplice e accessibile, senza installazioni e integrata con Gemini, Google Meet, permette di avviare una riunione o unirsi a una già esistente tramite link con un semplice account Google. La versione gratuita consente videochiamate fino a 100 partecipanti per una durata massima di 60 minuti. Con un abbonamento a Google Workspace, invece, il numero massimo di partecipanti può salire in base al piano scelto e si sbloccano funzionalità extra come stanze separate (breakout rooms) e lo streaming in diretta.

Zoom

Tra i software che hanno visto un’impennata durante l’epoca dello smart working, Zoom è probabilmente quello che ha saputo conquistare più utenti. Ha lavagne condivise, registrazioni, e chat integrata, nei piani a pagamento aggiungono strumenti avanzati come Zoom Companion, l’AI che aiuta a generare sintesi delle riunioni o rispondere alle domande basate sulla trascrizione. L’unica nota negativa è la crittografia end-to-end, che non è attivata automaticamente e richiede una configurazione manuale.

WhatsApp

WhatsApp è una delle app di messaggistica più usate al mondo e offre anche videochiamate di gruppo fino a 32 persone, oltre alla possibilità di scambiarsi file e documenti. Grazie alla crittografia end-to-end, le conversazioni sono protette, e si rivela molto adatta anche a piccoli gruppi di lavoro. Per chi ha esigenze più professionali, WhatsApp Business aggiunge strumenti pensati per aziende e freelance.

Signal

Completamente gratuita e open-source, Signal è una delle soluzioni migliori per il livello di privacy. Supporta videochiamate di gruppo fino a 50 partecipanti, protette da crittografia end-to-end attiva di default. Anche Signal permette di creare link per le chiamate, un’opzione comoda per invitare persone senza doverle aggiungere ai contatti. Piccola pecca: non ha funzionalità collaborative avanzate come lavagne o documenti condivisi.

Slack

Oltre alle comunicazioni tra team, Slack offre anche opzioni per avviare chiamate direttamente dalle conversazioni. Nella versione gratuita, però, si può chiamare solo una persona alla volta. Per includere più partecipanti — fino a 50 — bisogna passare a un piano a pagamento. È ideale per scambi veloci tra colleghi, mentre per riunioni formali e strutturate rimane un po’ limitata rispetto ad altre piattaforme.

Webex

Pensato per l’ambiente corporate e formativo, Webex offre una suite completa di strumenti per gestire riunioni professionali. Oltre alla condivisione dello schermo, include integrazione con calendari, supporto per eventi live e funzionalità avanzate per chi gestisce corsi, webinar o team distribuiti. Le call possono ospitare centinaia di persone, in base al piano scelto. Esiste anche un piano gratuito che permette videoconferenze fino a 100 persone per 40 minuti, ideale per chi vuole testare il servizio prima di un eventuale upgrade. Una piattaforma robusta e versatile, anche se leggermente meno intuitiva per l’utente comune.

Mascotte Digiup

L’opinione di Digiup

Abbiamo a disposizione, quindi, una grande varietà di strumenti per comunicare e collaborare, ma la scelta non dovrebbe basarsi solo sulla moda del momento. In Digiup valutiamo sempre funzionalità, sicurezza e integrazione con i processi aziendali. Ogni piattaforma ha i suoi punti di forza: quello che conta è scegliere lo strumento giusto per il contesto giusto.

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